di Nico Carlucci
Nel suo ultimo lavoro Marc Augé rilegge un suo saggio pubblicato qualche anno fa dedicato al metrò e alla "surmodernità"(Il metrò rivisitato, Raffaele Cortina editore, 2009).
Del resto, uno scienziato ripensa sempre a quanto scritto in precedenza alla luce di nuove domande. L'antropologo francese, in qualche modo, reinterpreta la categoria del "non luogo" che lo ha reso famoso.
Fallimento della scienza? No, questa è in un interscambio continuo con la cultura e con l'esperienza che l'individuo apporta nel momento del suo studio "solitario".
Il metrò affascina perchè si è nelle viscere della Terra. Durante le buie notte dell'inverno mattutino arrivano su di esso poche donne e molti uomini. E il motivo è chiaro!
Beh, sicuramente i suoi treni sono un viaggio nel "globale": stazioni che si susseguono, corse e cambi, femmine e maschi che salgono e scendono. Puoi vedere la moda con i suoi umori, i ritmi e i colori del momento, le sfumature di sonorità ascoltate con gli i-pod che ti accompagnano al lavoro del tuo nuovo giorno. E' una carrellata di gente vestita "a festa" per mezzo di piercing, tatuaggi e crini colorati, sessi in cravatte o trucchi, insieme a qualche ruga "camp".
Hai vicino la donna velata in nero di un certo Islam, i baffi o gli occhi kirghisi di persone immigrate.
Nel metrò incontri il vicino e il lontano, gli odori di viaggi orientali, i sacchetti piene di spesa di articoli "globali". E' la nostra contemporaneità nel profondo di uno scavo, dove la gente circola per diversi motivi: raggiungere l' ufficio, la scuola, gli ipermercati, la casa, gli affetti. I suoi vagoni, coperti di graffiti e decorazioni pubblicitarie, sono uno zoo planetario fatto di animali "strani" che vedono scorrere, una dopo l'altra, le fermate delle stazioni con i loro nomi particolari, in un rituale non più sacro.
E in alto, nelle gallerie il computer guarda e riprende il suo popolo "transnazionale", in questo "non luogo", appunto, che diventa, così, una avventura straordinaria.
"Metro" è il quotidiano che prendi e leggi nelle profondità della Terra, è la "patria-mondo" della globalizzazione. Infatti, lo trovi a New York, Milano, Hong Kong, Roma, Parigi, Stoccolma, Londra, Oslo ecc.
"Metro" è il quotidiano dei "non luoghi" come lo sono i graffiti e gli spray che ricoprono vagoni, stazioni ferroviarie, carrozze, tutto ciò che è traiettoria dell'arte, uscita, ora, dal chiuso dello spazio del museo precipitando, senza saperlo, in "tempo reale", nella mito occidentale della surmodernità.
Nel suo ultimo lavoro Marc Augé rilegge un suo saggio pubblicato qualche anno fa dedicato al metrò e alla "surmodernità"(Il metrò rivisitato, Raffaele Cortina editore, 2009).
Del resto, uno scienziato ripensa sempre a quanto scritto in precedenza alla luce di nuove domande. L'antropologo francese, in qualche modo, reinterpreta la categoria del "non luogo" che lo ha reso famoso.
Fallimento della scienza? No, questa è in un interscambio continuo con la cultura e con l'esperienza che l'individuo apporta nel momento del suo studio "solitario".
Il metrò affascina perchè si è nelle viscere della Terra. Durante le buie notte dell'inverno mattutino arrivano su di esso poche donne e molti uomini. E il motivo è chiaro!
Beh, sicuramente i suoi treni sono un viaggio nel "globale": stazioni che si susseguono, corse e cambi, femmine e maschi che salgono e scendono. Puoi vedere la moda con i suoi umori, i ritmi e i colori del momento, le sfumature di sonorità ascoltate con gli i-pod che ti accompagnano al lavoro del tuo nuovo giorno. E' una carrellata di gente vestita "a festa" per mezzo di piercing, tatuaggi e crini colorati, sessi in cravatte o trucchi, insieme a qualche ruga "camp".
Hai vicino la donna velata in nero di un certo Islam, i baffi o gli occhi kirghisi di persone immigrate.
Nel metrò incontri il vicino e il lontano, gli odori di viaggi orientali, i sacchetti piene di spesa di articoli "globali". E' la nostra contemporaneità nel profondo di uno scavo, dove la gente circola per diversi motivi: raggiungere l' ufficio, la scuola, gli ipermercati, la casa, gli affetti. I suoi vagoni, coperti di graffiti e decorazioni pubblicitarie, sono uno zoo planetario fatto di animali "strani" che vedono scorrere, una dopo l'altra, le fermate delle stazioni con i loro nomi particolari, in un rituale non più sacro.
E in alto, nelle gallerie il computer guarda e riprende il suo popolo "transnazionale", in questo "non luogo", appunto, che diventa, così, una avventura straordinaria.
"Metro" è il quotidiano che prendi e leggi nelle profondità della Terra, è la "patria-mondo" della globalizzazione. Infatti, lo trovi a New York, Milano, Hong Kong, Roma, Parigi, Stoccolma, Londra, Oslo ecc.
"Metro" è il quotidiano dei "non luoghi" come lo sono i graffiti e gli spray che ricoprono vagoni, stazioni ferroviarie, carrozze, tutto ciò che è traiettoria dell'arte, uscita, ora, dal chiuso dello spazio del museo precipitando, senza saperlo, in "tempo reale", nella mito occidentale della surmodernità.
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