di Nico Carlucci
Opere scritte anni fa attraverso la propria vita, come succede a molti artisti e scienziati, ritornano a verificare quello che ancora oggi viviamo. Alcune domande vengono a riproporsi prepotentemente in un modello culturale che credevamo di aver esaurito, ma che, viceversa, "disegna" ancora i dubbi, gli interrogativi e il non risolto che lo avevano impregnato vivificandolo ancora.
Franco Basaglia, conosciuto per aver messo in subbuglio la scienza psichiatrica, aveva scritto e agito, negli anni 70, tra mille contraddizioni che seppur non eliminabili, come lui stesso aveva affermato, sono state, in ultima analisi, la forza del suo pensiero.
Allora diventa ancora importante ripercorre, per capire meglio, la formazione di Basaglia e anche la sua teorizzazione (o forse, è meglio dire antiteorizzazione?). Si parte dalla fenomenologia e si arriva all’esistenzialismo , all’incontro con Sartre e l’opera di Foucault. In altri termini, si giunge a tutto ciò che in-forma il pensiero dello psichiatra che si nutre di un contesto di trasformazione strutturale e di contestazione del potere: il 68, l’antipsichiatria di Laing, il marxismo, le rivendicazioni della classe operaia.
L’abolizione del manicomio in Italia con la legge 180 del 1978, è stato solamente l’epifenomeno di quanto preparavano gli anni immediatamente precedenti che vede Basaglia uno dei loro protagonisti.
Nel nuovo millennio molti giornalisti, politici e programmi televisivi, sembrano voler cancellare la definizione di Basaglia che il “folle” sia “un essere nel mondo”, in una “situazione” che vengono date dall’incontro della persona con l’ambiente.
Da outsider, appunto, egli supera il limite del proprio campo di sapere “in un incontro interdisciplinare in cui i sistemi scientifici vengono reciprocamente contestati, per sfuggire al pericolo di ricostruire una nuova ideologia”. E’ quanto una certa antropologia sperimenta da molti anni. E’ proprio questo aver superato i confini che il potere ha tracciato tra le diverse discipline che rende Basaglia, l’uomo Basaglia, lo psichiatra Basaglia, scomodo all’Istituzione: fuori e dentro la follia, oggettivazione e soggettivazione del “malato di mente”, indeterminatezza del delirio, incapacità di cogliere una assolutezza della pazzia.
Come più volte l’antropologia culturale mette in luce, attraverso un’analisi comparativa tra culture, la diagnosi di malattia mentale è intelligibile all’interno del modello culturale in cui nasce. Le allucinazioni “schizofreniche” di un Occidente che ha “inventato” la Psichiatria vengono accettate, per esempio, quando per i siberiani è il loro sciamano a cercarle ed averle, in una “situazione”, appunto, riconosciuta come “normale” dal gruppo.
Qualche anno fa , in Italia, Colucci e Di Vittorio tornarono sul tema dell’antipsichiatria con una biografia proprio su Basaglia. Questi si interrogarono, così, sui folli, in una vera e propria contestazione della psichiatria organicistica che ha isolato l’uomo dalla naturalità della cultura.
La loro opera finalmente metteva in luce alcuni problemi non risolti dallo psichiatra e le contraddizioni “positive” della stessa legge 180 di cui Basaglia era consapevole (la “medicalizzazione” del malato di mente).
Oggi, noi, dobbiamo tornare a smascherare il Potere e le sue decisioni riguardo al futuro degli uomini la cui libertà viene ricodificata, purtroppo, di continuo dalla programmazione, nella certezza dei ruoli prefissati, cari allo psicologo, al sessuologo, al sociologo di turno.
Telemaco Signorini : "La sala delle agitate"
Opere scritte anni fa attraverso la propria vita, come succede a molti artisti e scienziati, ritornano a verificare quello che ancora oggi viviamo. Alcune domande vengono a riproporsi prepotentemente in un modello culturale che credevamo di aver esaurito, ma che, viceversa, "disegna" ancora i dubbi, gli interrogativi e il non risolto che lo avevano impregnato vivificandolo ancora.
Franco Basaglia, conosciuto per aver messo in subbuglio la scienza psichiatrica, aveva scritto e agito, negli anni 70, tra mille contraddizioni che seppur non eliminabili, come lui stesso aveva affermato, sono state, in ultima analisi, la forza del suo pensiero.
Allora diventa ancora importante ripercorre, per capire meglio, la formazione di Basaglia e anche la sua teorizzazione (o forse, è meglio dire antiteorizzazione?). Si parte dalla fenomenologia e si arriva all’esistenzialismo , all’incontro con Sartre e l’opera di Foucault. In altri termini, si giunge a tutto ciò che in-forma il pensiero dello psichiatra che si nutre di un contesto di trasformazione strutturale e di contestazione del potere: il 68, l’antipsichiatria di Laing, il marxismo, le rivendicazioni della classe operaia.
L’abolizione del manicomio in Italia con la legge 180 del 1978, è stato solamente l’epifenomeno di quanto preparavano gli anni immediatamente precedenti che vede Basaglia uno dei loro protagonisti.
Nel nuovo millennio molti giornalisti, politici e programmi televisivi, sembrano voler cancellare la definizione di Basaglia che il “folle” sia “un essere nel mondo”, in una “situazione” che vengono date dall’incontro della persona con l’ambiente.
Da outsider, appunto, egli supera il limite del proprio campo di sapere “in un incontro interdisciplinare in cui i sistemi scientifici vengono reciprocamente contestati, per sfuggire al pericolo di ricostruire una nuova ideologia”. E’ quanto una certa antropologia sperimenta da molti anni. E’ proprio questo aver superato i confini che il potere ha tracciato tra le diverse discipline che rende Basaglia, l’uomo Basaglia, lo psichiatra Basaglia, scomodo all’Istituzione: fuori e dentro la follia, oggettivazione e soggettivazione del “malato di mente”, indeterminatezza del delirio, incapacità di cogliere una assolutezza della pazzia.
Come più volte l’antropologia culturale mette in luce, attraverso un’analisi comparativa tra culture, la diagnosi di malattia mentale è intelligibile all’interno del modello culturale in cui nasce. Le allucinazioni “schizofreniche” di un Occidente che ha “inventato” la Psichiatria vengono accettate, per esempio, quando per i siberiani è il loro sciamano a cercarle ed averle, in una “situazione”, appunto, riconosciuta come “normale” dal gruppo.
Qualche anno fa , in Italia, Colucci e Di Vittorio tornarono sul tema dell’antipsichiatria con una biografia proprio su Basaglia. Questi si interrogarono, così, sui folli, in una vera e propria contestazione della psichiatria organicistica che ha isolato l’uomo dalla naturalità della cultura.
La loro opera finalmente metteva in luce alcuni problemi non risolti dallo psichiatra e le contraddizioni “positive” della stessa legge 180 di cui Basaglia era consapevole (la “medicalizzazione” del malato di mente).
Oggi, noi, dobbiamo tornare a smascherare il Potere e le sue decisioni riguardo al futuro degli uomini la cui libertà viene ricodificata, purtroppo, di continuo dalla programmazione, nella certezza dei ruoli prefissati, cari allo psicologo, al sessuologo, al sociologo di turno.
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