Passa ai contenuti principali

Un'altra pietra nel Muro: antropologia e fenomenologia

di Nico Carlucci

Eccomi fare, alcuni anni fa, l’antropologo “sul campo” in America, vivere e toccare con mano la potenza come è stata studiata dai fenomenologi delle religioni a proposito delle culture “altre”(Gerardus van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Bollati Boringhieri 2002, tit. or. Phanomenologie der Religion, Tubingen, 1956).
Si, l’America, dove credo che la potenza venga vissuta col giurameto, con la bandiera a stelle e strisce, col dollaro che recita “In God We Trust”.
Quell' anno, a metà novembre, Bryant Park, in Mid Manhattan, dopo il "Fashion Show", ospitò “The Wall that Heals” (Il Muro che Guarisce) come recitava il manifesto e il programma dell’evento. Questo è la replica esatta , in scala ridotta, del Vietnam Memorial di Washington, DC. Su di esso, conforme all’originale, sono riprodotti 58202 nomi di uomini e donne morti durante la guerra del Vietnam.
Quello di Bryant Park è un muro di alluminio nero che ha la caratteristica di essere “itinerante” e “interattivo”. Tuttora, con esso, dicono gli sponsor, si vuole dare la possibilità a chi non può recarsi nella capitale americana, di ricevere conforto leggendovi il nome di un figlio, di un fratello, di un marito, persi durante la guerra.
Come è evidente, nel “Muro che Guarisce” sono presenti tutte le strutture del Sacro: è oggetto potente, che emana poteri miracolosi e in più attraversa l’America consacrandone il territorio.
Gli Statunitensi sono chiamati a riconoscersi intorno a esso per lenire ferite concrete e simboliche, individuali e collettive. Domani il Muro verrà trasportato in altre metropoli, città, verso altre latitudini, altri climi. Il suo potere taumaturgico non è diverso da quello delle tante immagini o delle tante Madonne in giro per l’Italia a cui i credenti chiedono intercessioni e guarigioni.
Nella storia l’oggetto-muro ha sempre avuto un significato di potenza. Ricordiamo il muro del pianto degli ebrei a Gerusalemme, quello delle città e dei monasteri medioevali, il Muro di Berlino, la Grande muraglia cinese, il Vallo di Adriano.
Il muro segnala il perimetro, il confine che separa e che non si deve oltrepassare. Vivere all’interno delle stesse mura significa appartenere al gruppo che le ha costruite, al gruppo che vi si è rinchiuso dentro riconoscendosi negli stessi valori e partecipando della stessa essenza.
Al muro si richiede si essere forte, impenetrabile, inviolabile affinché possa difenderci dai nemici.
Per il monaco del Medioevo le mura sono simbolicamente e concretamente la fondazione di uno spazio e di un tempo "nuovi" che diventano liturgia. Questa scandisce la giornata del monaco, il suo lavoro e la sua preghiera, lo separa dal profano e lo consegna al "sacro". Nella sua "solità il monaco può, così, finalmente gridare: “Oh beata solitudine, oh sola beatitudine”.
Perfino nella mariologia è possibile trovare la simbologia trascendente del muro. Tra gli appellativi della Madonna ricordiamo, infatti, quelli di “muro inespugnabile”, di “rocca sicura”per mezzo dei quali si allude alla sua verginità.
“The Wall that Heals” rappresenta questa potenza trascendente imperitura, come tutti gli obelischi, tutti i ceppi, tutti i monumenti (si pensi a quelli eretti in onore al milite ignoto).
Il Muro che Guarisce “dice” di quel confine tra la vita e la morte, crea il mondo dell’al di là, l’eternità a cui tutti quei nomi incisi su di esso appartengono. Nomi di uomini e donne sacrificati dalla guerra in nome della Patria, di Dio come ricordano anche i bigliettini lasciati come ex-voto.
Il mese di novembre rafforza con il suo grigiore questi significati “funesti”, di morte insieme alla festa dei santi-morti e alla notte di Halloween che l’ha preceduta.
Gli uomini, nel nostro caso, gli americani, tornano a fare i conti con la morte che si crede possa essere manipolata e vinta attraverso determinate formule, preghiere, facendo uso di talismani e perché no anche di un muro interattivo, simbolico-conceto, sostitutivo di quello di Washington come quello che ci ha fatto visita a New York durante la settimana del Veteran’s day tra le foglie di un autunno inoltrato nella città avvolta, per l’occasione, da un silenzio solenne.

Commenti

Post popolari in questo blog

Kultur e Zivilisation: Nietzsche e le scienze A-venire

di Nico Carlucci Kultur e gli anni di Basilea (1869-1879)      Nietzsche a Basilea fu un diligente insegnate. I suoi scolari lo ricordano come chi era capace di convincere allo studio, anche i più pigri. Egli riflette molto sul problema dell’educazione, sulla funzione degli istituti di cultura. La guerra franco-prussiana interruppe per qualche settimana la sua attività di insegnante. Sono gli anni in cui Nietzsche si sentiva legato a Burckhardt, storico basilese. A lui lo legò il comune amore per Schopenhauer e una concezione importante della civiltà greca. A Burckhardt lo lega anche quello che Nietzsche chiama “il sentimento dell’autunno della civiltà”. [1] Civiltà, sì. Una tradizione andava scomparendo con tutte le sue istituzioni. Significativa è la lettera che scrisse all’amico Carl von Gersdorff il 21 giugno 1871: “Al di là del conflitto delle nazioni, ci ha terrorizzati, terrificante e improvviso, il sollevarsi dell’idra internazionale, foriero di ben altre batta

La pietra miliare dell'Antropologia: Franz Boas

di  Nico Carlucci Franz Boas nasce a Minden, in Germania nel 1858 da una famiglia ebrea. Ebbe una cultura che si nutriva della fisica, della matematica e anche della geografia che lo condusse indirettamente all'antropologia. Ancora giovanissimo partì per una spedizione presso gli eschimesi della Terra di Baffin con l'obiettivo di studiare gli effetti dell'ambiente fisico sulla società locale. Nel 1887 Franz va a vivere negli Stati Uniti. Qui fonda a New York, alla Columbia University, il dipartimento di Antropologia e diventa maestro di famosi antropologi come Alfred L. Kroeber, Robert Lowie, Edward Sapir, Jean Herskovits, Ruth Benedict, Margareth Mead. Sempre a New York curò l'American Museum of National History. Boas, però, non farà mai un lavoro di esposizione sistematica del suo modo di intendere l'antropologia. Beh, sicuramente prende le distanze da L.H.Morgan, antropologo evoluzionista che aveva esemplificato troppo parlando di sviluppo indipendente de

Il mondo alla rovescia: la Festa dei Folli e il Ragazzo Vescovo

di Nico Carlucci   Il freddo arriva e l’inverno pure con la prima neve che cade. Anche i giorni di Natale “arrivano” e si susseguono lentamente. Io non parlerò né dei loro simbolismi, né dei significati concreti che li accompagnano. Annie Lennox ricrea, ora, le loro musiche e li celebra nella androginia di una Bellezza “divina”. Claude Levi-Strauss, invece, tanto tempo fa, scriveva di un “Babbo Natale giustiziato” (Sellerio, 2002) alla vigilia di una mondializzazione che era, prima di tutto, fine dolente delle culture. Vedo la crisi delle istituzioni e della politica in Italia, il precipitare dell’euro e l’Occhio del Grande Fratello che avanza. Girano le vite, è la musica del tempo che scorre. E sullo schermo appaiono le festività successive al giorno del Natale, di origine pagane che nel Medioevo entrano all’interno delle mura delle chiese. Tra esse trovo la Festa dei Folli e le cerimonie del “Ragazzo vescovo” (Chambers E. K. “The Medieval Stage”, Oxford, 1903). La prima