Passa ai contenuti principali

Il mondo alla rovescia: la Festa dei Folli e il Ragazzo Vescovo

di Nico Carlucci
 
Il freddo arriva e l’inverno pure con la prima neve che cade. Anche i giorni di Natale “arrivano” e si susseguono lentamente. Io non parlerò né dei loro simbolismi, né dei significati concreti che li accompagnano. Annie Lennox ricrea, ora, le loro musiche e li celebra nella androginia di una Bellezza “divina”.
Claude Levi-Strauss, invece, tanto tempo fa, scriveva di un “Babbo Natale giustiziato” (Sellerio, 2002) alla vigilia di una mondializzazione che era, prima di tutto, fine dolente delle culture.
Vedo la crisi delle istituzioni e della politica in Italia, il precipitare dell’euro e l’Occhio del Grande Fratello che avanza.
Girano le vite, è la musica del tempo che scorre. E sullo schermo appaiono le festività successive al giorno del Natale, di origine pagane che nel Medioevo entrano all’interno delle mura delle chiese. Tra esse trovo la Festa dei Folli e le cerimonie del “Ragazzo vescovo” (Chambers E. K. “The Medieval Stage”, Oxford, 1903).
La prima apparteneva a religiosi poveri e di basso rango: contadini o piccola borghesia. Essa rappresentava un’ occasione di riposo, ma anche di ridicolizzazione dei riti sacri, lunghi e noiosi. Per mezzo di essa assistiamo, per alcuni giorni, al deterioramento dei potenti e all’esaltazione dei poveri.
La Festa dei folli sembrava che avesse origine da tradizioni di derivazione romana delle Calende e delle feste pagane teutoniche o celtiche: “Durante le cerimonie, i preti e i funzionari portano maschere mostruose, danzano nel coro indossando abiti femminili o di giullari. Intonano canzoni scostumate. Mangiano salsicce a lato dell’altare e giocano a dadi nel corso della messa”. (da una lettera della Facoltà di Teologia di Parigi risalente al 1445).
Quella dei Folli è la festa che parla di “vescovi” o “arcivescovi” squilibrati, con i loro copricapi e bastoni pastorali che, in ultima analisi, sono gli equivalenti di quel finto re che James G. Frazer ha messo in luce in molte feste popolari e che ritroviamo anche nei Saturnali.
E per alcuni giorni il mondo appare alla rovescia: l’esaltazione dei ranghi inferiori, le maschere animali e i travestimenti in abiti femminili.
E’ quanto accadeva nell’Europa del XV secolo, nelle chiese di Bourges, Sens e Beuvais dove si cantava anche un curioso inno semicomico, la “Prosa dell’Asino”.
Ma era la Francia il paese per eccellenza di questa festa dei Folli. L’usanza era diffusa anche in Boemia e in Germania.
Con la Riforma essa fu denunciata e vietata. Contro la Festa dei folli si pronunciò anche il Concilio di Basilea del 1435. Ma al popolo piaceva per cui fu difficile farla scomparire subito.
 
l “Ragazzo Vescovo”
 
Nel decimo secolo una festa rilevante fu anche quella dei ragazzi nel giorno degli Innocenti, il 28 dicembre. Protagonista è il “Ragazzo Vescovo”, cantore scelto dai suoi compagni del coro. Egli metteva il piviale , aveva il bastone pastorale e dava le “benedizioni”. Insieme al “Ragazzo Vescovo”, altri ragazzi indossavano gli abiti dei diaconi e degli arcidiaconi. E mancavano, cosi, di rispetto alle alte cariche delle istituzioni della Chiesa del Basso Medioevo.
La figure del “Ragazzo Vescovo” è presente nei libretti inglesi, francesi e tedeschi.
Quello che si faceva con la complicità dei compagni era parte di ciò che per noi, oggi, in modo diverso, sono le “vacanze scolastiche” del periodo natalizio, una “pausa” che con le feste interrompevano il tempo quotidiano. I festeggiamenti si svolgevano all’aperto.
Nel giorno degli Innocenti il “Ragazzo Vescovo” va a cavallo per impartire benedizioni agli abitanti della sua città.
La sua elezione avveniva il 5 dicembre giorno della vigilia di San Nicola protettore dei bambini. Egli fu allora chiamato “Vescovo di Nicola”, appunto, che “diceva messa” proprio nei giorni della vigilia e della feste “comandate”.
Con la Riforma la sua figura fu abolita anche se come per la Festa dei Folli sopravive per molto tempo, nella cultura popolare, in diverse parti dell’Europa fino all’avvento dei tempi moderni.
E visto che la storia è fatta da “lunghe durate”, molti gli scolari dell’Occidente osservano ancora religiosamente la Festa di San Nicola, loro protettore. A Curry-Yeovill, per esempio, nel Sommersetshire, ogni anno i “ragazzi di Nicola” portano un barile di birra buona nella chiesa dove è situata la loro scuola e irrompono nella stanza del Maestro.
Ecco, ho voluto raccontare una storia di “Natale”, quando i tempi erano diversi, quando si giocava con un mondo alla rovescia perché quello che si viveva andava cambiato. E oggi? L’Imperatore è “nudo”, eppure, resiste ancora il timoroso conformismo contemporaneo di molti italiani insieme alle istituzioni che li rappresentano. 




Brueghel il Vecchio


 

Commenti

Post popolari in questo blog

Kultur e Zivilisation: Nietzsche e le scienze A-venire

di Nico Carlucci Kultur e gli anni di Basilea (1869-1879)      Nietzsche a Basilea fu un diligente insegnate. I suoi scolari lo ricordano come chi era capace di convincere allo studio, anche i più pigri. Egli riflette molto sul problema dell’educazione, sulla funzione degli istituti di cultura. La guerra franco-prussiana interruppe per qualche settimana la sua attività di insegnante. Sono gli anni in cui Nietzsche si sentiva legato a Burckhardt, storico basilese. A lui lo legò il comune amore per Schopenhauer e una concezione importante della civiltà greca. A Burckhardt lo lega anche quello che Nietzsche chiama “il sentimento dell’autunno della civiltà”. [1] Civiltà, sì. Una tradizione andava scomparendo con tutte le sue istituzioni. Significativa è la lettera che scrisse all’amico Carl von Gersdorff il 21 giugno 1871: “Al di là del conflitto delle nazioni, ci ha terrorizzati, terrificante e improvviso, il sollevarsi dell’idra internazionale, foriero di ben altre batta

Le donne si vestono.Simbolismo dell'abito monastico femminile

di Nico Carlucci “Perfetta vita e alto merto inciela donna più su” mi disse, “a la cui norma nel vostro mondo giù si veste e vela, perché fino al morir si vegghi e dorma con quello sposo ch’ogne voto accetta che caritate a suo piacer conforma. Dante, Canto III, "Il Paradiso", Divina Commedia Sul modo di vestirsi dei religiosi e in modo particolare delle monache, non esiste ancora una riflessione di carattere storico-antropologica che tenga conto del vissuto e del modo in cui le donne si sono percepite indossando quanto era stato deciso dai consacrati maschi (velo, tunica, sandali, cintura, cilicio, rosario). A questo scopo, credo che il concetto di cultura possa essere utile per una ricostruzione dei significati profondi che accompagna la donna e la sua “rappresentazione,” attraverso il suo corpo, nella storia. Per cultura intendo un “insieme complesso” di funzioni, norme, tecniche, miti, abitudini, tradizioni, tratti che si integrano in una struttura cui diamo il

La pietra miliare dell'Antropologia: Franz Boas

di  Nico Carlucci Franz Boas nasce a Minden, in Germania nel 1858 da una famiglia ebrea. Ebbe una cultura che si nutriva della fisica, della matematica e anche della geografia che lo condusse indirettamente all'antropologia. Ancora giovanissimo partì per una spedizione presso gli eschimesi della Terra di Baffin con l'obiettivo di studiare gli effetti dell'ambiente fisico sulla società locale. Nel 1887 Franz va a vivere negli Stati Uniti. Qui fonda a New York, alla Columbia University, il dipartimento di Antropologia e diventa maestro di famosi antropologi come Alfred L. Kroeber, Robert Lowie, Edward Sapir, Jean Herskovits, Ruth Benedict, Margareth Mead. Sempre a New York curò l'American Museum of National History. Boas, però, non farà mai un lavoro di esposizione sistematica del suo modo di intendere l'antropologia. Beh, sicuramente prende le distanze da L.H.Morgan, antropologo evoluzionista che aveva esemplificato troppo parlando di sviluppo indipendente de