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New York: per un'antropologia urbana

di Nico Carlucci


Andare a New York è ancora un viaggio verso un futuro-presente. Accendi la tv americana: vieni messo al centro di avvenimenti i cui fatti ti rendono parte di una storia, la tua storia "pop". Un good morning che è un orrizzonte che dà senso a quello che stai per vivere quando già apri l'acqua del rubinetto, quando ti metti sull'autostrada. Un quotidiano-avvenimento annunciato dal tempo, da vento o sole , neve o piogge che sfidi potente. Epifanie "laiche", come "laiche" sono il crogiolo delle razze, della musiche rock, soul, jazz.

"I love New York", canta Madonna colei che ha fatto classico il genere "pop" in musica come, del resto, aveva fatto Andy Warhol, nell'Arte, molti anni prima. Una New York che si fa "musical", beat.
New York che, forse, ha creato il "sacro umano". E' proprio questo il suo esperimento vincente: un laboratorio del "sacro umano" che parte da lontano, dall' America protestante che ha "inventato " i diritti civili, i gender studies, il political correct

Si, "I Love New York", scritto sulle magliette, sui treni della metropolitana, tramite un'arte di strada, di graffiti, di rap simbolici e concreti. Questi ti accompagnano nei grandi magazzini, con prodotti del commercio che paradossalmente "individuano" in una apparente indistinzione mediatica.
Gli happening di Central Park, dei suoi caffè e negozi di libri, dove i campus, prima, e le strade, poi, celebrano insieme riti individuali e collettivi insieme ai rumori, agli odori della Grande Mela.
New York, architetture volte all'immaterialità, quartieri variopinti, dove abitano ancora "underground" e modernità, istituzioni WASP e murales, "strutture interrogative" di un divenire presente.
Succede, qualcosa sta per succedere, è già successo: annunciato da sirene, pompieri, Twin Tower che crollano, vecchi quartieri smembrati, locali e teatri che chiudono i battenti, calvinismi e liberazioni sessuali.
E dici: "Siamo ancora sicuri del MOMA e dell' Apollo Theatre di Harlem"!
Leggende che sono miti che vivono, ancora "vita", parte di un immaginario dove attori, cantanti, pubblico, visitatori vengono rimescolati in un gioco continuo delle parti.

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