di Nico Carlucci
Direzione Luna
I tempi dei viaggi e delle esplorazioni sono finiti.
Quando l’Antropologia è nata l’uomo continuava a scoprire terre remote. L’antropologo definiva il concetto di cultura e dava sempre più forma, così, alla sua disciplina servendosi, per la prima volta, di un metodo scientifico.
Egli sentiva che i popoli “primitivi”si sarebbero a breve estinti, come poi è successo. Da qui la “fretta” dello studioso di raccogliere le loro ultime lingue e i loro ultimi miti trasmessi di generazione in generazione e consegnarli a noi.
Ma ancora prima dell’Antropologia, gli uomini erano venuti a contatto con le civiltà e le descrivevano. E’ quello che fa, per esempio, Cesare nel suo De Bello Gallico.
Matteo Ricci (1552-1610) un missionario, ebbe una profonda conoscenza del popolo e della religione cinese al quale voleva che arrivasse il cristianesimo attraverso l’“adattamento” di quest’ultimo.
Nell’Ottocento troviamo, invece, David Livingston, missionario e esploratore scozzese che svelò l’entroterra africano ricercando anche le sorgenti del Nilo. Sua fu la scoperta delle cascate Vittoria dal nome della regina d’Inghilterra.
Questi sono solo alcuni nomi, di un passato di esplorazioni e “suggestioni” del mondo quando i popoli erano classificati come “caldi” o “freddi”, quando le società erano divise in quelle prive di storia da quelle con la“storia”.
Poi i viaggi si sono spostati verso la luna, l’uomo è arrivato sulla Luna (1969), alla ricerca di una verità di sé che informava l’immaginario collettivo. I film di fantascienza che ne sono seguiti per tutti gli anni 70 (Star trek in testa) ne sono una prova inequivocabile.
E ancora. J. F. Kennedy, in questo modello, negli anni 60 sfidava i tempi parlando di “nuova frontiera” e il “sogno”, così, andava verso la ricerca dello spazio e degli oceani nel tentativo di dare una svolta alla “guerra fredda” tra USA e URSS.
Direzione Nord: la nave "Fram", quando Artide e Antardide erano le sfide estreme.
Il viaggio nel tempo continua con la nave "Fram", oggi esposta in una nobile maestosità ad Oslo all’interno di un museo creato in suo onore. Questo museo è interessante e ricco di domande “antiche” relative alle esplorazioni.
"Fram" (“Avanti”, in norvegese) fu utilizzata in diverse spedizioni nelle regioni polari artiche e antardide. Era la nave di legno più resistente che Fridtjof Nansen fece costruire nel 1893 appositamente per l’esplorazione del polo Nord. A dire il vero, qui era previsto un suo ibernamento tra i ghiacciai del pack artico.Ma è il romanticismo della montagna di ghiaccio che spinge Nansen ad ascoltare il vento che spira dalla Siberia per raggiungere l’Artide. La sua ambizione era di arrivare più a nord di chiunque altro. E il "Fram" è la nave che ha navigato più a settentrione e aggiungo anche più a meridione del globo: i due poli di vetro, i continenti ghiacciati.
Ma il pack può bloccare d’inverno le navi se non stritolarle. Allora Nansen realizza un'imbarcazione capace di sopravvivere alla pressione non per via dell’utilizzo della pura forza di resistenza, ma con uno scafo disegnato che permette di sfruttare il movimento dei ghiacci per salire sul pack e quindi galleggiare sul mare di ghiaccio.
Nansen, comunque, non riuscì a raggiungere la sua destinazione. La sola forza della corrente artica, purtroppo, non bastava. Allora decise di arrivare al Polo Nord con gli sci. Arrivato a 84 14 decide di tornare indietro. Era con H. Johansen. Con lui ripara nella Terra di Francesco Giuseppe dove riesce a sopravvivere mangiando grasso di orsi polari e trichechi. Nansen torna in Norvegia grazie ad fortunato incontro con una spedizione inglese.
La nave polare "Fram" è stata sicuramente la nave più resistente al mondo, è quella che è rimasta più a nord e più a sud del mondo rispetto a tutte le altre imbarcazioni E’ la nave polare che fu utilizzata per tre spedizioni polari non solo da Fridtjof Nansen nel periodo 1893-1896, ma anche da Otto Sverdrup nel 1898-1902 e Roald Amundsen nel 1910-1912.
Nansen è, però, l’esploratore della nave "Fram" che più si ricorda. Egli fu anche un importante uomo politico, uno scienziato che riceve il premio Nobel per la pace nel 1922.
Il museo di Oslo ripercorre la storia del "Fram". Esso è ricco di documenti, testimonianze e video, ma nei suoi significati di base è “archeologia” che merita certamente di essere studiata.
Fine della direzione: i fasci di luce e il digit
Oggi siamo nell’era dell’informatica come ho avuto già modo di scrivere. Non più poli di ghiaccio da frantumare, né punto-nord e punto-sud da avvistare, né distese marine da “navigare”. Il concetto di viaggio cambia: può essere “low cost” o del Web. E’ un viaggio senza più una direzione in linea con il venir meno anche di una idea di progresso.
E l’Antropologia diventa, allora, scienza della complessità, o meglio della globalizzazione che, comunque sta lì per dirci che le culture, singole, muoiono.
La nuova epistemologia sottolinea che tutto è “raggiungibile” il che ha fatto perdere allo scienziato il suo “sguardo da lontano”.
In questo modello culturale del digit, l’oggetto cd, per esempio, è sostituito dal file musicale, il biglietto cartaceo delle agenzie turistiche è abbandonato per via di prenotazioni on-line; anche le banconote, nell’era dell’Euro, scompaiono grazie alla carta di credito.
Il mondo del globale si fa virtuale. Perfino i terroristi per i loro attentati crudeli scelgono, senza saperlo, i “non luoghi” della globalizzazione: stazioni ferroviarie, metropolitane, aeroporti e reti informatiche.
La domanda dell’uomo sull’ Uomo c’è, ma la sfida non è più quella del ghiaccio di Nansen. Il vento non spira più dalla Siberia.
Non più confini, quindi, o frontiere, le “geografie” conosciute durante la Grande guerra con i loro sacri” fiumi (vedi il Piave). Oggi è la bomba informatica che decide chi perde e chi vince.
Il tempo è “reale” e accelerato e gli Dèi non hanno più nomi, né “sesso”.
Direzione Luna
I tempi dei viaggi e delle esplorazioni sono finiti.
Quando l’Antropologia è nata l’uomo continuava a scoprire terre remote. L’antropologo definiva il concetto di cultura e dava sempre più forma, così, alla sua disciplina servendosi, per la prima volta, di un metodo scientifico.
Egli sentiva che i popoli “primitivi”si sarebbero a breve estinti, come poi è successo. Da qui la “fretta” dello studioso di raccogliere le loro ultime lingue e i loro ultimi miti trasmessi di generazione in generazione e consegnarli a noi.
Ma ancora prima dell’Antropologia, gli uomini erano venuti a contatto con le civiltà e le descrivevano. E’ quello che fa, per esempio, Cesare nel suo De Bello Gallico.
Matteo Ricci (1552-1610) un missionario, ebbe una profonda conoscenza del popolo e della religione cinese al quale voleva che arrivasse il cristianesimo attraverso l’“adattamento” di quest’ultimo.
Nell’Ottocento troviamo, invece, David Livingston, missionario e esploratore scozzese che svelò l’entroterra africano ricercando anche le sorgenti del Nilo. Sua fu la scoperta delle cascate Vittoria dal nome della regina d’Inghilterra.
Questi sono solo alcuni nomi, di un passato di esplorazioni e “suggestioni” del mondo quando i popoli erano classificati come “caldi” o “freddi”, quando le società erano divise in quelle prive di storia da quelle con la“storia”.
Poi i viaggi si sono spostati verso la luna, l’uomo è arrivato sulla Luna (1969), alla ricerca di una verità di sé che informava l’immaginario collettivo. I film di fantascienza che ne sono seguiti per tutti gli anni 70 (Star trek in testa) ne sono una prova inequivocabile.
E ancora. J. F. Kennedy, in questo modello, negli anni 60 sfidava i tempi parlando di “nuova frontiera” e il “sogno”, così, andava verso la ricerca dello spazio e degli oceani nel tentativo di dare una svolta alla “guerra fredda” tra USA e URSS.
Direzione Nord: la nave "Fram", quando Artide e Antardide erano le sfide estreme.
Il viaggio nel tempo continua con la nave "Fram", oggi esposta in una nobile maestosità ad Oslo all’interno di un museo creato in suo onore. Questo museo è interessante e ricco di domande “antiche” relative alle esplorazioni.
"Fram" (“Avanti”, in norvegese) fu utilizzata in diverse spedizioni nelle regioni polari artiche e antardide. Era la nave di legno più resistente che Fridtjof Nansen fece costruire nel 1893 appositamente per l’esplorazione del polo Nord. A dire il vero, qui era previsto un suo ibernamento tra i ghiacciai del pack artico.Ma è il romanticismo della montagna di ghiaccio che spinge Nansen ad ascoltare il vento che spira dalla Siberia per raggiungere l’Artide. La sua ambizione era di arrivare più a nord di chiunque altro. E il "Fram" è la nave che ha navigato più a settentrione e aggiungo anche più a meridione del globo: i due poli di vetro, i continenti ghiacciati.
Ma il pack può bloccare d’inverno le navi se non stritolarle. Allora Nansen realizza un'imbarcazione capace di sopravvivere alla pressione non per via dell’utilizzo della pura forza di resistenza, ma con uno scafo disegnato che permette di sfruttare il movimento dei ghiacci per salire sul pack e quindi galleggiare sul mare di ghiaccio.
Nansen, comunque, non riuscì a raggiungere la sua destinazione. La sola forza della corrente artica, purtroppo, non bastava. Allora decise di arrivare al Polo Nord con gli sci. Arrivato a 84 14 decide di tornare indietro. Era con H. Johansen. Con lui ripara nella Terra di Francesco Giuseppe dove riesce a sopravvivere mangiando grasso di orsi polari e trichechi. Nansen torna in Norvegia grazie ad fortunato incontro con una spedizione inglese.
La nave polare "Fram" è stata sicuramente la nave più resistente al mondo, è quella che è rimasta più a nord e più a sud del mondo rispetto a tutte le altre imbarcazioni E’ la nave polare che fu utilizzata per tre spedizioni polari non solo da Fridtjof Nansen nel periodo 1893-1896, ma anche da Otto Sverdrup nel 1898-1902 e Roald Amundsen nel 1910-1912.
Nansen è, però, l’esploratore della nave "Fram" che più si ricorda. Egli fu anche un importante uomo politico, uno scienziato che riceve il premio Nobel per la pace nel 1922.
Il museo di Oslo ripercorre la storia del "Fram". Esso è ricco di documenti, testimonianze e video, ma nei suoi significati di base è “archeologia” che merita certamente di essere studiata.
Fine della direzione: i fasci di luce e il digit
Oggi siamo nell’era dell’informatica come ho avuto già modo di scrivere. Non più poli di ghiaccio da frantumare, né punto-nord e punto-sud da avvistare, né distese marine da “navigare”. Il concetto di viaggio cambia: può essere “low cost” o del Web. E’ un viaggio senza più una direzione in linea con il venir meno anche di una idea di progresso.
E l’Antropologia diventa, allora, scienza della complessità, o meglio della globalizzazione che, comunque sta lì per dirci che le culture, singole, muoiono.
La nuova epistemologia sottolinea che tutto è “raggiungibile” il che ha fatto perdere allo scienziato il suo “sguardo da lontano”.
In questo modello culturale del digit, l’oggetto cd, per esempio, è sostituito dal file musicale, il biglietto cartaceo delle agenzie turistiche è abbandonato per via di prenotazioni on-line; anche le banconote, nell’era dell’Euro, scompaiono grazie alla carta di credito.
Il mondo del globale si fa virtuale. Perfino i terroristi per i loro attentati crudeli scelgono, senza saperlo, i “non luoghi” della globalizzazione: stazioni ferroviarie, metropolitane, aeroporti e reti informatiche.
La domanda dell’uomo sull’ Uomo c’è, ma la sfida non è più quella del ghiaccio di Nansen. Il vento non spira più dalla Siberia.
Non più confini, quindi, o frontiere, le “geografie” conosciute durante la Grande guerra con i loro sacri” fiumi (vedi il Piave). Oggi è la bomba informatica che decide chi perde e chi vince.
Il tempo è “reale” e accelerato e gli Dèi non hanno più nomi, né “sesso”.
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