di Nico Carlucci
E adesso tornano in modo trionfale il gruppo indie, gli Arcade Fire che con il loro album “The Suburbs” sono primi nelle classifiche che contano: inglesi e americane. L’Italia, spiace dirlo, è estranea quasi del tutto alla sensibilità rock d’oltralpe per via delle polverose orecchie marxiste di molti dei suoi critici. Ciò è vero non solo nell’ambito musicale, ma anche universitario dove le band indie, spesso, nascono grazie alla rete.
La rivista on line "Ondarock", per esempio, dà all’ultimo lavoro del gruppo canadese appena la sufficienza relegando “The Suburbs” al genere pop che non fa parlare mai, per alcuni, di capolavori. Viceversa, l’inglese e autorevole “Q: Magazine” riconosce “The Suburbs” già come un classico che rimarrà tale negli anni a venire e che farà entrare gli Arcade Fire nella storia del rock.
Ma l’antropologo si occupa proprio del gruppo di Win Butler e Regine Chassagne? Si, perché l’antropologo ascolta la musica, si emoziona al suono che è indie-rock, pop corale, post-wave, mainstream, voci e ritmi della cultura in cui vive e ama. Il suo modello è proprio la musica che qui, in questo, album dura più di un’ora perché di “concept album” si tratta. Sapete, quei “ concept album” che nessuno più realizza e che, invece, in passato hanno fatto il rock.
In “The Suburbs” appaiono citazioni sixties come quelle dei Beatles e Phil Spector. Ma c’è anche l’incedere circolare di “Rococo”, pezzo barocco come certi brani di “Neon Bible”, secondo album del gruppo. E poi abbiamo la melodia ondulatoria di “City with no children” e “Empty room “ che ha un bel arraggiamento di archi. Qui è Regine a guidare la danza punk-rock di dimensioni sinfoniche. “Suburbarn war” è, invece, un momento straordinario di musica fatto di epos trattenuto e dolente. Scopriamo ancora, continuando l’ascolto, le due “Half light” che si distinguono perché la prima è eterea la seconda è frizzante. In quest’ultima c’è il sinth-pop tra New Order e Blondie con una raffinatezza pop non amata in Italia perché poco “proletaria” se non addirittura gay. “Sprawl II viene accostata da qualche critico nostrano, per esempio, per ridimensionarla, alla musica degli Abba che pur grandi, a mio avviso non c’entrano per nulla con questo brano. Si continua con le note dell’emotiva “We use to wait” che è anche uno dei single più belli dell’anno.
Con il primo, straordinario cd “Funeral” gli Arcade Fire davano voce ai sogni e agli incubi del vicinato (unici i tre capitoli dal titolo proprio di “Neighborhood”); con il successivo “Neon Bibble” (2007) la loro carica esplosiva diventava quasi messianica se non escatologica.
In “The Suburbs” torna, invece, il mondo dei ragazzi e delle ragazze come in “Funeral”. Ma adesso le loro vite spezzate si svolgono nelle periferie slabbrate della metropoli.
In tutto il cd c’è elegia mista a malinconia. La musica è bella. Sicuramente in alcuni brani si avverte l’influenza dei primi U2 e del primo Springsteen anche se gli Arcade Fire suonano gli Arcade Fire.
I sobborghi di cui si parla in “The Suburbs” sono quelli americani diversi da quelli europei, sono un universo fatto di attese, di noia, di amori vagheggiati e di rabbia.
La band canadese è costituita da sette membri che nella coralità delle loro visioni continuano a creare anche con “The Suburbs”un implosione di suoni, dal vivo e nel disco. E’ il motivo per il quale i crescendo di molte delle loro canzoni sono più importanti dei momenti pieni e compiuti. In altre parole, l’indefinito delle anime musicali riconquista e dà emozione.
E adesso tornano in modo trionfale il gruppo indie, gli Arcade Fire che con il loro album “The Suburbs” sono primi nelle classifiche che contano: inglesi e americane. L’Italia, spiace dirlo, è estranea quasi del tutto alla sensibilità rock d’oltralpe per via delle polverose orecchie marxiste di molti dei suoi critici. Ciò è vero non solo nell’ambito musicale, ma anche universitario dove le band indie, spesso, nascono grazie alla rete.
La rivista on line "Ondarock", per esempio, dà all’ultimo lavoro del gruppo canadese appena la sufficienza relegando “The Suburbs” al genere pop che non fa parlare mai, per alcuni, di capolavori. Viceversa, l’inglese e autorevole “Q: Magazine” riconosce “The Suburbs” già come un classico che rimarrà tale negli anni a venire e che farà entrare gli Arcade Fire nella storia del rock.
Ma l’antropologo si occupa proprio del gruppo di Win Butler e Regine Chassagne? Si, perché l’antropologo ascolta la musica, si emoziona al suono che è indie-rock, pop corale, post-wave, mainstream, voci e ritmi della cultura in cui vive e ama. Il suo modello è proprio la musica che qui, in questo, album dura più di un’ora perché di “concept album” si tratta. Sapete, quei “ concept album” che nessuno più realizza e che, invece, in passato hanno fatto il rock.
In “The Suburbs” appaiono citazioni sixties come quelle dei Beatles e Phil Spector. Ma c’è anche l’incedere circolare di “Rococo”, pezzo barocco come certi brani di “Neon Bible”, secondo album del gruppo. E poi abbiamo la melodia ondulatoria di “City with no children” e “Empty room “ che ha un bel arraggiamento di archi. Qui è Regine a guidare la danza punk-rock di dimensioni sinfoniche. “Suburbarn war” è, invece, un momento straordinario di musica fatto di epos trattenuto e dolente. Scopriamo ancora, continuando l’ascolto, le due “Half light” che si distinguono perché la prima è eterea la seconda è frizzante. In quest’ultima c’è il sinth-pop tra New Order e Blondie con una raffinatezza pop non amata in Italia perché poco “proletaria” se non addirittura gay. “Sprawl II viene accostata da qualche critico nostrano, per esempio, per ridimensionarla, alla musica degli Abba che pur grandi, a mio avviso non c’entrano per nulla con questo brano. Si continua con le note dell’emotiva “We use to wait” che è anche uno dei single più belli dell’anno.
Con il primo, straordinario cd “Funeral” gli Arcade Fire davano voce ai sogni e agli incubi del vicinato (unici i tre capitoli dal titolo proprio di “Neighborhood”); con il successivo “Neon Bibble” (2007) la loro carica esplosiva diventava quasi messianica se non escatologica.
In “The Suburbs” torna, invece, il mondo dei ragazzi e delle ragazze come in “Funeral”. Ma adesso le loro vite spezzate si svolgono nelle periferie slabbrate della metropoli.
In tutto il cd c’è elegia mista a malinconia. La musica è bella. Sicuramente in alcuni brani si avverte l’influenza dei primi U2 e del primo Springsteen anche se gli Arcade Fire suonano gli Arcade Fire.
I sobborghi di cui si parla in “The Suburbs” sono quelli americani diversi da quelli europei, sono un universo fatto di attese, di noia, di amori vagheggiati e di rabbia.
La band canadese è costituita da sette membri che nella coralità delle loro visioni continuano a creare anche con “The Suburbs”un implosione di suoni, dal vivo e nel disco. E’ il motivo per il quale i crescendo di molte delle loro canzoni sono più importanti dei momenti pieni e compiuti. In altre parole, l’indefinito delle anime musicali riconquista e dà emozione.
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