di Nico Carlucci
Cos’è la complessità nell’ Antropologia? Chi sono coloro che se ne occupano?
Beh, questi ultimi fanno riferimento, in ultima analisi, alla globalizzazione che esiste, nessuno lo mette in dubbio. Ma per alcuni studiosi, non sempre di “razza antropologica”, è diventata l’invenzione di un nuovo mito di fondazione. E questo, in realtà, è coercitivo.
Gli economisti sono stati tra i primi a “guardare” alla globalizzazione. Se ne sono occupati da “economisti”, appunto, soffermandosi poco sul concetto di cultura.
Quando è arrivata nei lavori dei filosofi della scienza, dei sociologi la globalizzazione è diventata “complessità” aprendo la via ad una nuova epistemologia che tuttora viene proposta con il suo protocollo. Sì, è quello che, per esempio, fa Edgar Morin nei suoi libri a cui non esita a dare titoli come: “Una testa ben fatta: riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero” (R. Cortina, 2000), “I sette saperi necessari all’educazione del futuro” (R. Cortina editore, 2001). A parte molte buone intuizioni di Morin e una scrittura “suggestiva”, il filosofo sembra proporre un breviario dei saperi, che come dice lui sono costituiti da “sette” punti e di cui gli insegnanti devono appropriarsi per essere “buoni insegnanti”. Ma dare, come fa Morin, istruzioni per l’uso imprigiona le menti, nega la libertà di quella che chiamiamo ricerca che di per sé non può essere incapsulata mediante una griglia “ben fatta”, per teste “ben fatte”! Di “complessità” respirano alcuni professori, docenti universitari che sembrano abbiamo creato il “dogma”, il rito di esami e concorsi che lasciano poco spazio ad un pensiero veramente complesso. Eppure non è questo che voleva la “complessità” quando è nata. Allora, mi chiedo perché essa diventa ambigua, “politica” quando sono proprio le scienze umane e sociali che se ne appropriano? I suoi seguaci, spesso, hanno un retaggio marxista. Al posto dell’era che vedeva l’eliminazione della proprietà privata a favore della collettivizzazione come auspicava il Comunismo, troviamo nella “complessità” la promessa di uno spazio “globale”, di una “identità terrestre” che respira “Terra patria”.
Molte delle cose che scrive Morin sono state già teorizzate dagli antropologi, ma senza una “chiesa” e un proselitismo. Parlo dell’interrelazione dei saperi, dei tratti di una cultura i cui fili si intrecciano in una totalità. Leggiamo i classici dell’ Antropologia, leggiamo Alfred L. Kroeber, i suoi modelli culturali, cerchiamo Popper, la sua epistemologia, guadiamo a Bateson e alla sua “ecologia” della mente.
Pioniere della complessità è stato Ilya Prigogine premio nobel per la chimica nel 1977 che parla di strutture dissipative e di irreversibilità.
Quali sono i lavori scientifici frutto del pensiero “complesso” che superano il momento teorico per affrontare quanto le popolazioni vivono per davvero ? Sono stati scritti in suo nome manuali di storia, di letteratura per la scuola assemblando, per esempio, l’Occidente con il lontano Oriente e non facendoli incontrare affatto. Anzi!
Come dicevo all’inizio, la nuova epistemologia finisce con il ridisegnare, almeno nell’ambito delle scienze umane e sociali, le vie del Trascendente. Che essa si tinga di sacro lo vediamo già quando si decide che i saperi per formare le menti devono essere “sette”. Perché “sette”? Perché non possono essere “otto”? Beh, i numeri sono estremamente simbolici, sacri, appunto. Non dimentichiamo che in Morin agisce inconsapevolmente l’ebraismo a cui culturalmente appartiene. A proposito, ricordiamo che sette sono le divinità mitologiche della Cabala; sette sono anche le piaghe d’Egitto. Per restare nell’ambito biblico vediamo che l’Apocalisse di Giovanni “dice” dei sette sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di sette trombe, suonate da sette Angeli.
Ma in tutta l’era antica il “sette” racchiude il codice segreto per interpretare l’Universo. Spesso, esso è considerato il numero della perfezione. Platone lo chiama Anima mundi. Nell’antico Egitto le Piramidi sono il numero “sette” formate, infatti, dal triangolo (tre) su quadrato (quattro).
Di sacro risente anche il titolo del libro di Progogine, russo ed ebreo anche lui, scritto insieme a Isabelle Stenders :“ La nuova alleanza: metamorfosi della scienza”, (Einaudi, 1999).
Qui si parla di fenomeni di irreversibilità e indeterminazione davanti ai quali la scienza classica subisce una battuta d’arresto. L’entropia è misura del caos in un sistema fisico o più in generale dell’Universo.
Prigogine, in realtà, getta le basi, così, a quel ponte che collega la fisica, alla chimica, all’ecologia, alle scienze sociali e umane. E tutto questo è “bello”. Ma usa espressioni “bibliche”, di alleanza del popolo con il suo Dio. La nuova alleanza, ricordiamo, è il Nuovo Testamento.
In conclusione le scienze sociali e umane hanno veramente fatto quanto dice il premio nobel per la chimica? Mi chiedo, è possibile ciò senza forzature e “patti politici”? senza essere necessariamente di “destra” o di “sinistra”?
Cos’è la complessità nell’ Antropologia? Chi sono coloro che se ne occupano?
Beh, questi ultimi fanno riferimento, in ultima analisi, alla globalizzazione che esiste, nessuno lo mette in dubbio. Ma per alcuni studiosi, non sempre di “razza antropologica”, è diventata l’invenzione di un nuovo mito di fondazione. E questo, in realtà, è coercitivo.
Gli economisti sono stati tra i primi a “guardare” alla globalizzazione. Se ne sono occupati da “economisti”, appunto, soffermandosi poco sul concetto di cultura.
Quando è arrivata nei lavori dei filosofi della scienza, dei sociologi la globalizzazione è diventata “complessità” aprendo la via ad una nuova epistemologia che tuttora viene proposta con il suo protocollo. Sì, è quello che, per esempio, fa Edgar Morin nei suoi libri a cui non esita a dare titoli come: “Una testa ben fatta: riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero” (R. Cortina, 2000), “I sette saperi necessari all’educazione del futuro” (R. Cortina editore, 2001). A parte molte buone intuizioni di Morin e una scrittura “suggestiva”, il filosofo sembra proporre un breviario dei saperi, che come dice lui sono costituiti da “sette” punti e di cui gli insegnanti devono appropriarsi per essere “buoni insegnanti”. Ma dare, come fa Morin, istruzioni per l’uso imprigiona le menti, nega la libertà di quella che chiamiamo ricerca che di per sé non può essere incapsulata mediante una griglia “ben fatta”, per teste “ben fatte”! Di “complessità” respirano alcuni professori, docenti universitari che sembrano abbiamo creato il “dogma”, il rito di esami e concorsi che lasciano poco spazio ad un pensiero veramente complesso. Eppure non è questo che voleva la “complessità” quando è nata. Allora, mi chiedo perché essa diventa ambigua, “politica” quando sono proprio le scienze umane e sociali che se ne appropriano? I suoi seguaci, spesso, hanno un retaggio marxista. Al posto dell’era che vedeva l’eliminazione della proprietà privata a favore della collettivizzazione come auspicava il Comunismo, troviamo nella “complessità” la promessa di uno spazio “globale”, di una “identità terrestre” che respira “Terra patria”.
Molte delle cose che scrive Morin sono state già teorizzate dagli antropologi, ma senza una “chiesa” e un proselitismo. Parlo dell’interrelazione dei saperi, dei tratti di una cultura i cui fili si intrecciano in una totalità. Leggiamo i classici dell’ Antropologia, leggiamo Alfred L. Kroeber, i suoi modelli culturali, cerchiamo Popper, la sua epistemologia, guadiamo a Bateson e alla sua “ecologia” della mente.
Pioniere della complessità è stato Ilya Prigogine premio nobel per la chimica nel 1977 che parla di strutture dissipative e di irreversibilità.
Quali sono i lavori scientifici frutto del pensiero “complesso” che superano il momento teorico per affrontare quanto le popolazioni vivono per davvero ? Sono stati scritti in suo nome manuali di storia, di letteratura per la scuola assemblando, per esempio, l’Occidente con il lontano Oriente e non facendoli incontrare affatto. Anzi!
Come dicevo all’inizio, la nuova epistemologia finisce con il ridisegnare, almeno nell’ambito delle scienze umane e sociali, le vie del Trascendente. Che essa si tinga di sacro lo vediamo già quando si decide che i saperi per formare le menti devono essere “sette”. Perché “sette”? Perché non possono essere “otto”? Beh, i numeri sono estremamente simbolici, sacri, appunto. Non dimentichiamo che in Morin agisce inconsapevolmente l’ebraismo a cui culturalmente appartiene. A proposito, ricordiamo che sette sono le divinità mitologiche della Cabala; sette sono anche le piaghe d’Egitto. Per restare nell’ambito biblico vediamo che l’Apocalisse di Giovanni “dice” dei sette sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di sette trombe, suonate da sette Angeli.
Ma in tutta l’era antica il “sette” racchiude il codice segreto per interpretare l’Universo. Spesso, esso è considerato il numero della perfezione. Platone lo chiama Anima mundi. Nell’antico Egitto le Piramidi sono il numero “sette” formate, infatti, dal triangolo (tre) su quadrato (quattro).
Di sacro risente anche il titolo del libro di Progogine, russo ed ebreo anche lui, scritto insieme a Isabelle Stenders :“ La nuova alleanza: metamorfosi della scienza”, (Einaudi, 1999).
Qui si parla di fenomeni di irreversibilità e indeterminazione davanti ai quali la scienza classica subisce una battuta d’arresto. L’entropia è misura del caos in un sistema fisico o più in generale dell’Universo.
Prigogine, in realtà, getta le basi, così, a quel ponte che collega la fisica, alla chimica, all’ecologia, alle scienze sociali e umane. E tutto questo è “bello”. Ma usa espressioni “bibliche”, di alleanza del popolo con il suo Dio. La nuova alleanza, ricordiamo, è il Nuovo Testamento.
In conclusione le scienze sociali e umane hanno veramente fatto quanto dice il premio nobel per la chimica? Mi chiedo, è possibile ciò senza forzature e “patti politici”? senza essere necessariamente di “destra” o di “sinistra”?
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