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Montaigne parte 2...

di Nico Carlucci

     Montaigne (1533-1592) appartiene ad una famiglia nobile anche se modesta. Compie gli studi primari a Bordeaux e successivamente a Toulouse. Nel 1558 incontra l'umanista Etienne de la Boétie, che diventa suo carissimo amico. Sicuramente è proprio Etienne, l'affetto che Michel aveva per l'amico che è alla base dei suoi Saggi.
Scrive i suoi Essais immerso nella lettura dei classici, ma non trascura i moderni. Percorre un lungo viaggio attraverso l'Europa, anche in Italia. Tra il 1581 e il 1588 riprende gli incarichi pubblici accettando di diventare sindaco di Bordeaux. Cattolico convinto mantiene in politica un atteggiamento rigidamente lealista e conservatore. Muore lasciando incompiuta l'opera di revisione definitiva dei suoi Essais.
Il termine Essais vuol dire assaggi, sperimentazioni, ricerche, esperienze, perché Montaigne intende confrontare le esperienze degli antichi con le proprie. Nella prefazione alla sua opera scrive: "Sono io stesso la materia del mio libro". Dunque il meditare, il filosofare è inteso da Montaigne come un continuo sperimentare se stessi, un continuo riferimento a se stessi.
L'esistenza è per lui un problema sempre aperto, un'esperienza continua, che non può mai concludersi definitivamente e deve quindi sempre chiarirsi. Essa è costantemente protesa verso il futuro: l'uomo ha una costante preoccupazione per il futuro. "Noi siamo sempre al di là di noi stessi; il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l'avvenire...". Dovremmo invece imparare a non essere troppo presuntuosi e ad accettare serenamente la nostra condizione: l'uomo non deve cercare di essere più di uomo. E della condizione umana è elemento costitutivo la morte: "Tu muori perché sei vivo".
L'uomo deve dunque accettare il suo destino di essere mortale per poter vivere meglio: il pensiero che si è mortali suscita un impegno a vivere, a vivere meglio, più profondamente e pienamente. L'uomo deve anche riconoscere che sa ben poco, che la ragione ha dei limiti, che la scienza può sbagliare. Insomma, in realtà, "que sais-je?" (che cosa so io?). Il problema però non è tanto che cosa si sa o che cosa non si sa, quanto piuttosto che cosa si può e si deve fare. La saggezza consiste nel vivere bene: "Il mio mestiere, la mia arte, è vivere".
La saggezza di Montaigne non si basa né sulla rivoluzione né sull'utopia. La sua saggezza consiste nella ricerca di una felicità terrena e nel modo migliore per conseguirla: da qui l'abbandono di ogni orgoglio intellettuale, l'accettazione dell'esistenza nei suoi vari aspetti, cioè la tolleranza verso le nostre fragili illusioni, le nostre piccinerie, i nostri peccatucci abituali, persino una certa dose di follia, per accettare appunto i piaceri che la vita ci può offrire, sopportando i mali e le avversità.
Gli Essais furono considerati il libro più personale che fosse mai stato scritto, fino a quel momento, nella letteratura universale. La sua originalità, rispetto alle autobiografie classiche e alle confessioni e ai soliloqui cristiani, sta nell'aver posto al centro di un'opera letteraria l'autoritratto di un uomo del tutto ordinario, di una vita privata spoglia di eventi o di circostanze straordinarie.
Il procedimento autobiografico seguito da Montaigne nei suoi Essais mira alla conoscenza dell'uomo a partire dalla conoscenza di se stesso. Gli Essais, tuttavia, non costituiscono una vera e propria autobiografia o un libro di confessioni, ma distillano nella scrittura le riflessioni personali dell'autore sul mondo e su se stesso, delimitando un campo di conoscenze nel quale egli sperimenta il proprio pensiero e lo mette alla prova. Non esistendo negli Essais un disegno unitario, il lettore è autorizzato a letture parziali e soggette a interpretazioni personali.
Peraltro i Saggi sfidano il lettore a cimentarsi a sua volta nella ricerca della conoscenza di sé, poiché "ciascuno reca in sé la forma intera della condizione umana". Va messo in luce, peraltro, come la frammentarietà degli Essais nasconda anche un preciso intento polemico dell'autore contro le pretese dei filosofi tradizionali di pervenire a conoscenze definitive ed esaurienti della realtà. Nel pensiero di Montaigne si possono distinguere tre componenti filosofiche principali: una di matrice stoica, una scettica e una epicurea.
Ciò non significa però un'adesione passiva di Montaigne agli insegnamenti di queste scuole filosofiche antiche, che conobbero una ripresa nell'età rinascimentale, ma uno sforzo di rielaborarne originalmente gli approcci filosofici di fondo, nella prospettiva di una saggezza intrisa dei temi dell'umanesimo e dell'individualismo che avrebbe contraddistinto gran parte del pensiero moderno. Ma è soprattutto lo scetticismo (che traspare dalla domanda "que sais-je?", sempre ricorrente negli Essais), a conferire al pensiero di Montaigne il carattere di una riflessione distaccata sulle contraddizioni e le incoerenze proprie della natura umana. Questo scetticismo, generato anche dallo spettacolo delle guerre di religione in Francia, alimentava peraltro nella riflessione di Montaigne un atteggiamento di grande tolleranza rispetto alle diverse posizioni.
Negli antichi Montaigne cerca i segni di una fraternità, all'insegna di una comune miseria, fra gli uomini di tutti i tempi e paesi. Il suo interesse non si rivolge a ciò che sta principalmente a cuore ai grandi uomini (gloria e memoria delle loro imprese), ma ai particolari oscuri e rivelatori, spesso omessi o dimenticati dallo storico. La storia si scopre così una miniera di insegnamenti sulla natura debole e inferma dell'uomo, sulla sua condizione tanto ridicola quanto risibile.
La natura di cui parla è il tutto che ingloba l'insieme delle cose singole, il nodo in cui si intrecciano i dissonanti aspetti dell'esistenza, l'ordine celato in cui si accorda il disordine apparente del mondo. Montaigne si serve di accenti lucreziani per celebrare questa Madre Natura in cui gli opposti si incontrano e si conciliano: vita e morte, gioia e dolore, pace e guerra, salute e malattia. Per Montaigne "Dio" e "natura" sono quasi sinonimi.
Montaigne rifiuta il pregiudizio che considera barbare e selvagge le popolazioni sudamericane con cui recentemente l'Europa è venuta a contatto, utilizzando l'argomento della relatività delle opinioni e dei costumi dei popoli. Selvaggio assume il significato positivo di naturale, non corrotto dalla civiltà. Queste popolazioni "diverse" per usi e costumi, appartengono comunque alla stessa natura umana. Montaigne idealizza la vita selvaggia e afferma che "noi civilizzati" non abbiamo il diritto di giudicarli, in quanto in assenza di un criterio razionale veramente universale dobbiamo accontentarci di ribadire la nostra relatività dei punti di vista: a "noi" sembra particolarmente barbara ad esempio la pratica del cannibalismo, ma a "loro" apparirebbero non meno barbare le nostre guerre di religione...


  A. Durer

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