di Nico Carlucci
Ho cercato di capire l’atmosfera culturale questa volta
partendo da quello che fanno gli altri antropologi, quelli che insegnano all'università, gli antropologi, sì, la mia “ricerca sul campo”. Come al solito tutto era
nascosto nell'ovvio pur essendo sotto gli occhi dei più. Mi serviva per toccare
con mano responsabilità consapevoli o meno, per riassumere in una sintesi
“gestaltica” la contemporaneità della nostra specie Sapiens-Sapiens e
ritrovarmi ancora in angoli di mondo che venivano fatti rientrare, comunque,
nella globalizzazione. Non sarà difficile, così seguire direzioni di viaggi
clandestini, di uomini e donne che il politicamente corretto ha deciso di
chiamare “profughi” dicendo le bugie e giocando con la malafede. Così molti giornalisti,
politici, uomini di governi insieme all’uomo vestito di bianco si allontanano
dagli Italiani. Tutto è chiaro quando unisci i tasselli di un modello culturale
mai velato, quando si usano le tecniche di una lettura appropriata,
un’ermeneutica interpretativa “compiuta”. Alcuni antropologi non contenti della
cultura come loro oggetto di studio parlano di Natura, di un’antropologia della
natura che finisce con il superamento dell’Occidente cattivo che aveva voluto
il primo concetto in forma direi “liberante”. Non più cultura, quindi, ma oltre
la cultura da parte di molti. Oltre la cultura, questa volta, perché i popoli
dell’Amazzonia non ci credono, non la “separano” dalla Natura come pure i
lontani eschimesi della taiga che restituiscono agli animali giustamente quello
che hanno sottratto loro, il cibo diventando essi stessi cibo: alle foche viene
data, per esempio, la placenta umana. Superiamo l’antropologia culturale, il
culturalismo di Boas, Kroeber, Benedict e altri che parcelizza troppo e
accogliamo un mondo ecologico, femmineo, la Natura, evitata da chi ha difeso
con una spada lucente l’Occidente. Diciamo di “no” a questo, alla cultura, ma
anche alle etnie che sono un’invenzione degli antropologi colonialisti insieme
ai confini delle terre dell’Africa. Religione, popoli, linee mai distinte
superati dal meticciato che tuttavia finisce con essere un nuovo mito di
fondazione. E’ vero, bisognerebbe soffermarsi più a lungo su questi
antropologi, ma finirei con il perdere il mio giro lungo con il quale capisco
me, l’Occidente colpevole per molti di occupazioni, domini e mai attore, forse,
del “migliore dei mondi possibili”. Non
bisogna dire ciò, il pensiero unico non lo permette, il politicamente corretto
incombe. In coro molti corsi universitari abbassano il concetto di identità,
evviva, quindi il “Noi”, il concetto di imitazione che anche gli animali
conoscono, sì, gli animali che vestono gli abiti degli umani e gli umani quelli
dei non umani in una terminologia e ruoli de-reale. In questa danza di meticciato, di confini
che non esistono, il “refrain” è di un oltre la cultura per ritualizzare, in
ultima analisi, la Natura da parte degli antropologi; diventiamo, suvvia,
plurali.
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