di Nico Carlucci
Neolingua! Eh sì, continuiamo a sperimentarla in tutti i settori, nel nostro modello volto al globalismo. È l’era dell’emergenza e dei nuovi assetti, urlati dalla maggior parte dei media, dai tanti giornali, dal teatrino della politica correct. Ma non basta: perfino qualche gruppo rock è dalla parte giusta (si fa per dire). Allora ecco un click per aprire l’agenda festivaliera di un mondo post-umano. Neolingua. È la prima parola con cui ho incominciato, e poi viene “resilienza”, che spiega tutte le altre. Nasce per far fronte alla sopportazione, come viene spiegato da Diego Fusaro nel suo interessante libro “Odio la Resilienza: Contro la mistica della sopportazione” (Rizzoli, 2022). Resilienza è una parola che dice continuamente di un potere “aggiornato” con la sua impronta nei veri programmi, nelle economie, nei giornali. Per capirla di più io mi servirò anche dell’antropologia culturale, che si guarda bene dal focalizzare un solo tratto di una cultura, un primum, una causa ultima come potrebbe essere, per esempio, il “capitalismo”. Resiliente è chi è ottimista sempre e per sempre. È l’uomo che si accontenta di ciò che lo circonda, visto che questo è tutto quello che può esserci. Il resiliente si riconcilia grazie ad un adattamento, ad una servitude volontaria. Il sistema di potere che lo impregna è pronto a parlargli di opportunità nei diversi settori: la scuola-azienda, le strategie della politica, i programmi economici ecc. Scrive Fusaro: «Il resiliente assorbe ogni colpo, magari ringraziando per la preziosa occasione di maturazione che ne ha tratto. Gli si richiede apertis verbis di coltivare quella “flessibilità mentale”». Visto il tema in un contesto resiliente, la parola viene lanciata dappertutto. L’espressione “dinamismo resiliente” compare nel 2013 nel World Economic Forum e con Obama: in altri termini, nella società del neoliberismo. Come scrive Gadamer in “Verità e metodo” non si dà verità se non per il tramite della mediazione linguistica. E questa mediazione linguistica, in qualche modo, diventa un dominio tout court, da cui è difficile liberarsi senza l’interrogarsi dell’uomo pensante. Si esorta alla resilienza facendo ricorso ad una parola che in origine designava la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi. Tale vocabolo viene proprio dal campo della fisica e dell’ingegneria, e risale alla metà dell’Ottocento. Nel suo libro, Fusaro parla di disumanizzazione con la “cosificazione” dell’uomo nel mondo delle merci e di “disumanizzazione capitalistica”. Gli Stati sono concepiti come aziende private, da gestire in un’ottica schiettamente neoliberista, ed il “materiale umano” è chiamato a farsi resiliente. Questa parola, in realtà, è usata anche dalla psicologia, per indicare la capacità di reagire di fronte ai traumi della vita. E questo è un bene. Ma in ambito economico, di programmazione e di organizzazione, acquista tutt’altro significato, come stiamo vedendo. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è dotata di un suo gruppo di ricerca denominato “Osservatorio Internazionale sulla Resilienza”. Basta? Decodifichiamo, allora, questa parola e scatta immediatamente l'analisi da parte dell’antropologo. Sì, “resiliente”: un nuova parola, questa volta potente, che evoca e crea la realtà come ci ha insegnato la fenomenologia delle religioni. Essa va ripetuta, la si deve far cadere come un mantra “laico”. La usano gli uomini-sacerdoti dell’economia-mercato del liberismo, della finanza, in una patria-mondo che sa dove andare. E con questa parola tiriamo dentro tutte le altre, per mezzo del blocco oligarchico neoliberista di cui parla Fusaro nel suo libro. Mistica della sopportazione? Sicuramente è vero, come scrive il filosofo: mistica dell’esistenza di una logica turbo-capitalistica. Ma io aggiungerei che tutto il nostro discorso ha che fare soprattutto con la cultura in toto, con la cultura proprio nella sua accezione scientifica. Essa non è riferita solo all’individuo, ma anche al gruppo che vive all'interno di un modello culturale e cioè in quell’ “insieme complesso” di tratti di cui fa parte, in ultima analisi, anche il capitalismo. Questo modello culturale ha una configurazione – un pattern – che vede l'intersezione dell’economia, del mito, della politica, delle tecniche, della religione, della musica, delle scienze, in una struttura significativa. Ogni tratto è allo stesso tempo causa e effetto dell’altro tratto in una circolarità e direzione di senso che ci permette di capire la cultura, il modello in cui viviamo.
La speranza è che da qui, forse, la vita può ripartire per mezzo di una consapevolezza e tornare così ad essere soggetti agenti della cultura nella significatività a cui accennavo prima. Non una specie Sapiens, quindi, colpevole che deve riparare ai suoi “peccati”. A questo punto, trattasi ora di decodificare il Sacro che è sempre connesso al Potere e di cui Ida Magli ha scritto per tutta la vita nei suoi studi irrinunciabili. Torniamo a studiarlo con consapevolezza, ad approfondirlo per toccare con mano il dizionario della Neolingua, che spesso – servendosi di quella inglese – si avvale di nuovi poteri nascosti. Troveremo in questo dizionario termini come “Green Economy”, Inclusività, “Gender”, “Great Reset”, “Lock Down”. L’inglese serve come strumento dell’evitazione. Non ti dico le cose usando il tuo idioma “naturale” perché non devi capire alcunché: meglio nascondere la verità dissimulando e coprendo l’oggetto. Da qui il passo verso il tabù è breve. Paradossalmente, gli uomini e le donne sono all’erta non per la nuova emergenza, ma per una lingua creata a tavolino da parte dei pochi che vogliono imporla nella sua sfera numinosa e tremenda, nel tessuto globale non dando spazio, purtroppo, al giro breve prima e a quello lungo poi dell’antropologo culturale.
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