di Nico Carlucci
Ieri moriva la cantante Amy Winehouse, a ventisette anni. E' la stessa età in cui sono andati via i nomi della musica come Jimmy Hendrix, Curt Cobain, Jim Morrison, Janis Joplin. Spiegare le morti di questi giovani per via dell' uso delle droghe non è sufficiente. Le solitudini degli uomini, forse, sono non spiegabili. Amy Winehouse ha il merito di aver ridato, però, speranza ad un canto delle "donne", questa volta, sì, universale. Ha fatto musica pop, rock, mescolata con i ritmi della Giamaica e con il soul. La Winehouse sperimentava, così, anche il jazz con una voce a cui stanno attingendo le nuove generazioni. Pochi sono i cd compiuti dalla cantante inglese tra cui ricordiamo Back to black, ma non importa. Essi sono già parte della nostra storia "moderna". E se oggi riusciamo a dire questo è perchè la musica dei "giovani", alternative, indie, punk, grunge, "parlano" ancora dell'arte, di tutto quanto non riusciamo a incapsulare in formule precise. Non dimentichiamo come in passato essa è stata bistrattata e continua ad esserlo, silenziosamente e nessuno lo sa. E allora tornano, per esempio, le canzoni di Hair , la rivoluzione e le chiome di fanciulle nell'arcobaleno.
Da più parti c'è il tentativo di ricodificare ciò che decodifica, con i suoi temi e le sue strutture, un modello culturale. Lo si è fatto, lo si fa anche con la musica dei "giovani", degli angeli del rock. E' un gioco ingiusto, non capire un "eversione", nel nostro caso la musica di Amy. Qualcuno "coglierà" la profondità del suono e di voci, sì, qualcuno lontano dai canali mediatici che travolgono la purezza dell'arte. Ed è da qui che si ricomincia...
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