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Il profumo della lingua Italiana e Dante

 di Nico Carlucci

La lingua ha seguito il cammino dell'uomo. Essa è frutto di una selezione sicuramente biologica, ma anche e soprattutto culturale. Con la posizione bipede, la nostra specie ha "liberato" il suo cervello, ha dato maggiore spazio all'intelligenza grazie ad un maggior afflusso del sangue. E' proprio A. Leroi-Gourhan che  evidenzia questa liberazione sincrona del cervello, della lingua e della mano che diventa possibile quando l'Homo Sapiens assume la posizione eretta. Così incomincia l'avventura umana con un mondo attraversato da correnti di uralo-altaici, stirpi indoeuropee, africani. L'uomo è in movimento, si sposta, registra, grazie alla lingua, i segni, i fonemi, i simboli. Ed è della lingua degli uomini che dirò in questo piccolo intervento.
Nel suo ultimo lavoro il genetista Cavalli-Sforza scrive: "La lingua ha segnato confini di potere e di conquista con alcuni idiomi che si sono imposti con successo e altri meno"(Geni, Popoli, e Lingue, Adelphi). E' stato così. Ma  pensiamo, ora, all'Italiano, alla nostra lingua. Essa ha "unito" noi, gli Italiani, nonostante le divisioni, nonostante non esistesse uno stato unitario che è venuto solo con il 1861 e di cui celebriamo oggi i suoi 150 anni. Dante aveva capito bene la forza della lingua che per lui era il volgare, in altri termini, l'Italiano nascente. Contemporaneo al Convivio, il De vulgari eloquentia dell'Alighieri  è un trattato scritto in latino tra il 1303 e il 1304  e riguarda, appunto, la lingua, il volgare. L'intenzione di Dante era quello di compiere un'opera costituita da quattro libri, ma non ci riuscì. Alla fine verrà fuori il primo libro intero e 14 capitoli di un successivo lavoro non portato a termine.
Pur affrontando il tema della lingua, il De vulgari eloquentia fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si rivolgeva appartenevano all'élite culturale del tempo. Il poeta si lanciò in un'appassionata difesa del volgare. Esso è illustre, cardinale, aulico, curiale. Dà, a chi lo parla, lustro e aulicità regale; di esso si servono anche le corti ed è adoperato negli atti politici di un sovrano.
Ma quello che qui ci interessa è che il volgare di Dante è cardinale. Intorno ad esso girano i dialetti e le varietà linguistiche dell'Italia di allora. Il poeta sembra un antropologo ante litteram quando parla, del volgare e del suo "popolo". Egli definisce la cultura e cioè quell' insieme complesso di significati, di simboli, di suoni, di valori, di costumi che si intersecano e "circolano" nell' ideterminato. Ma sentiamo Dante: " Come uomini d'Italia, ci sono alcuni semplicissimi tratti di abitudini e di modi di vestire e di lingua, che permettono di soppesare e misurare le azioni degli Italiani. Ma le operazioni più nobili fra quante ne compiono gli Italiani  non sono specifiche di nessuna città d'Italia, bensì comuni a tutte ; e fra queste si può a questo punto individuare quel volgare di cui sopra andavamo in caccia, che fa sentire il suo profumo in ogni città, ma non ha la sua dimora in alcuna".
La lingua italiana e la letteratura italiana hanno fatto, come ho già detto, l'Italia prima dello stato unitario.  In essa lingua hanno poetato i Siciliani, gli Apuli, i Toscani, i  Romagnoli, i Lombardi, le genti della Penisola donandola agli "altri" mediante la  Musica,  l'Arte, la Scienza.

in alto dipinto di E. Delecroix (1798-1863)


Commenti

Sergio Scorzillo ha detto…
molto interessante...:-)

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