Passa ai contenuti principali

Nota bibliografica dell' Antropologia culturale

Nel 1871 vengono pubblicate due opere importi dell'Antropologia: Primitive Culture di Edward. B. Tylor e Sistemi di consanguineità di Lewis H. Morgan. E' il periodo dell'Inghilterra vittoriana e la scienza sociale dell'uomo andava nascendo.
E' in questo contesto che molti esperti passano dall’evoluzionismo darwiniano delle specie a quello delle culture.
Poi dalla Germania arriva in America Franz Boas e "inventa" l'Antropologia culturale. Nell'opera  “I limiti del metodo comparativo in Antropologia” lo studioso tedesco cerca di riportare la culturologia " sul campo". Egli è contro qualsiasi generalizzazione. Quanto viene studiato -scrive- deve essere fatto direttamente e non mettendosi "in poltrona" come era successo in passato. Per Boas sicuramente le culture si influenzano se la loro geografia è vicina.
Ma andando a ritroso e cioè pima dell'Antropologia, scorgiamo che durante il periodo dell'Illuminismo il gesuita Jean-François Lafitau (1681-1746) scrive Les moeurs des sauvages ameriquains, comparées aux moeurs des premiers temps. Questo è uno studio comparativo di diverse tribù canadesi attraverso l’osservazione e la conoscenza delle lingue autoctone. Egli conobbe, infatti, gli Algonchini, gli Irochesi e gli Huroni e fece il confronto delle loro dottrine e pratiche religiose con quelle dell'antichità greca.
Sempre Lafitau pubblica anche un saggio sul Potlach, rito che ancora oggi sopravvive in molte parti del mondo. Esso riguarda, in qualche modo, il dono che è funzionale ad acquisire potere: cerimonie rituali, banchetti di carne di foca e di salmone in cui vengono ostentate pratiche distruttive di beni considerati di prestigio.
Tra i pionieri dell'Antropologia c'è anche una società di filosofi francesi: la Société des Observateurs de l’homme, fondata nel 1799. Questa società studiò un caso veramente interessante quello del bambino selvaggio dell’Aveyron cresciuto dai lupi. Intanto le conoscenze si approfondiscono e la scienza della cultura incomincia ad apparire davvero.
Brevemente scrivo i nomi di chi poi è entrato a far parte della storia dell'Antropologia, nomi irrinunciabili. Emile Durkheim pubblica, per esempio, Forme elementari della vita religiosa (1912) mentre Marcel Mauss dà alla luce il famoso saggio sul Dono. Di Arnold van Gennep è da ricordare, invece, Riti di passaggio che esce nel 1909.
In questa scuola francese, si cercano i fatti sociali collettivi che hanno un potere condizionante. Un esempio è nel libro Rappresentazione collettiva della morte di Robert Herz: la morte è qui uno scandalo, un fatto sociale che richiede un rito per ripristinare l’equilibrio. Curioso il fatto che ancora nel 1904 in Francia era possibile sposarsi con un morto.
Anche dalla Gran Bretagna partono i nuovi input per un ulteriore avanzamento metodologico nel campo dell'Antropologia.
Il Funzionalismo britannico introduce la società come organismo organizzato; la cultura è vista, qui, come uno strumento per soddisfare dei bisogni primari. Il lavoro sul campo diviene necessario mediante lo strumento dell'Osservazione Partecipante. Per capire al meglio la realtà studiata bisogna assumere il punto di "vista dell’indigeno" che senza la conoscenza della lingua locale non è possibile. Ecco, allora che nel 1922 Malinowsky, di ritorno dall’Oceania, pubblica riguardo ai Trobiandesi gli Argonauti del pacifico occidentale, frutto di un lungo lavoro sul campo. Nello stesso anno Alfred Radcliffe Brown scrive The Andaman islanders.
In Italia è solo dopo la seconda guerra mondiale che si sviluppa la Demo-etno-antropologia di Ernesto De Martino. Questi dice che l'antropologo è una squadra di esperti: sociologi, psichiatri, folkloristi e linguisti che come ausilio si servono di tecnologie quali il magnetofono o la cinepresa. Al riguardo, cosa ne pensa un sociologo? o uno psicologo?
Tra i filosofi Edmund Husserl introduce nella filosofia l’epochè fenomenologica. Nella Crisi delle scienze europee il pensatore tedesco  mira a rendere sempre evidente anzitutto che l’osservatore è parte del fenomeno che osserva. In realtà, l'antropologo è parte del modello culturale che studia, lo "oggettiva" e allo stesso tempo ne è dentro. Mi allontano dal modello, appunto, e mi "avvicino", lo "guardo da lontano", sì, ma anche con l'empatia del ricercatore che lo respira (Alfred L. Kroeber).
Visto il tradimento di alcuni antropologi verso l'Antropologia, mi chiedo, allora, se bisogna rivolgersi, oggi, ai Filosofi?  In Italia ed altrove ci sono etnologi che scrivono di etnie separate e quasi isolate che, però, hanno  tratti culturali comuni e questo è vero, ma essi aggiungono anche dell'esistenza di un inconscio strutturale nei gruppi umani che risponde a dei bisogni primari identici tra i gruppi. Sembra essere veramente tornati, così, indietro, a Freud quando l'inconscio era una "divinità oscura" e la storia dell'uomo culturale procedeva per  "stadi di sviluppo". Come mai tutto questo revisionismo? C'entra, forse, il Mondialismo o la bandiera del "Politicamente corretto"? L'egualitarismo? È in questo senso che qualche antropologo può giungere a credere che l’identità culturale uno se la sceglie, cosa facilmente contestabile visto che l'individuo non sceglie mai il modello in cui si trova a nascere, la lingua che parla inconsapevolmente. E su questa onda si continua con un'affermazione come l’inculturamento non è un fattore "passivo". Ma dove regge questo pseudo-collettivo-religioso?




Salvador Dalìorologideformi
La persistenza della memoria

 

Commenti

Post popolari in questo blog

La pietra miliare dell'Antropologia: Franz Boas

di  Nico Carlucci Franz Boas nasce a Minden, in Germania nel 1858 da una famiglia ebrea. Ebbe una cultura che si nutriva della fisica, della matematica e anche della geografia che lo condusse indirettamente all'antropologia. Ancora giovanissimo partì per una spedizione presso gli eschimesi della Terra di Baffin con l'obiettivo di studiare gli effetti dell'ambiente fisico sulla società locale. Nel 1887 Franz va a vivere negli Stati Uniti. Qui fonda a New York, alla Columbia University, il dipartimento di Antropologia e diventa maestro di famosi antropologi come Alfred L. Kroeber, Robert Lowie, Edward Sapir, Jean Herskovits, Ruth Benedict, Margareth Mead. Sempre a New York curò l'American Museum of National History. Boas, però, non farà mai un lavoro di esposizione sistematica del suo modo di intendere l'antropologia. Beh, sicuramente prende le distanze da L.H.Morgan, antropologo evoluzionista che aveva esemplificato troppo parlando di sviluppo indipe...

Kultur e Zivilisation: Nietzsche e le scienze A-venire

di Nico Carlucci Kultur e gli anni di Basilea (1869-1879)      Nietzsche a Basilea fu un diligente insegnate. I suoi scolari lo ricordano come chi era capace di convincere allo studio, anche i più pigri. Egli riflette molto sul problema dell’educazione, sulla funzione degli istituti di cultura. La guerra franco-prussiana interruppe per qualche settimana la sua attività di insegnante. Sono gli anni in cui Nietzsche si sentiva legato a Burckhardt, storico basilese. A lui lo legò il comune amore per Schopenhauer e una concezione importante della civiltà greca. A Burckhardt lo lega anche quello che Nietzsche chiama “il sentimento dell’autunno della civiltà”. [1] Civiltà, sì. Una tradizione andava scomparendo con tutte le sue istituzioni. Significativa è la lettera che scrisse all’amico Carl von Gersdorff il 21 giugno 1871: “Al di là del conflitto delle nazioni, ci ha terrorizzati, terrificante e improvviso, il sollevarsi dell’idra internazionale, foriero...

Il mondo alla rovescia: la Festa dei Folli e il Ragazzo Vescovo

di Nico Carlucci   Il freddo arriva e l’inverno pure con la prima neve che cade. Anche i giorni di Natale “arrivano” e si susseguono lentamente. Io non parlerò né dei loro simbolismi, né dei significati concreti che li accompagnano. Annie Lennox ricrea, ora, le loro musiche e li celebra nella androginia di una Bellezza “divina”. Claude Levi-Strauss, invece, tanto tempo fa, scriveva di un “Babbo Natale giustiziato” (Sellerio, 2002) alla vigilia di una mondializzazione che era, prima di tutto, fine dolente delle culture. Vedo la crisi delle istituzioni e della politica in Italia, il precipitare dell’euro e l’Occhio del Grande Fratello che avanza. Girano le vite, è la musica del tempo che scorre. E sullo schermo appaiono le festività successive al giorno del Natale, di origine pagane che nel Medioevo entrano all’interno delle mura delle chiese. Tra esse trovo la Festa dei Folli e le cerimonie del “Ragazzo vescovo” (Chambers E. K. “The Medieval Stage”, Oxford, 1903). La p...