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Nuovi tabù e silenzi culturali. L'antiamericanismo

di Nico Carlucci

Ripropongo qui un articolo che nasceva per parlare dell’America, dei sui film, dei suoi premi (l’Oscar 2006), dei suoi “temi” culturali. Scritto per una associazione gay italiana che sembrava sensibile all’intervento dell’antropologo, l’articolo in questione non è stato mai pubblicato. A distanza di circa un anno, lo ripropongo per capire se il motivo della sua non pubblicazione sia dovuto all’antimericanismo che esiste da più parti soprattutto in alcune aree politiche di cui anche le associazioni, tuttora, fanno parte.


2006 - HOLLYWOOD: IL SOGNO CHE SI INFRANGE

Beh, forse, l’America sta mandando un altro segnale al mondo con i tre film “indipendenti” che sono usciti sul grande schermo. Sto parlando di “Brokeback Mountain”, “Capote” e“Transamerica” .
Il primo vincitore dell’Oscar per la regia, il secondo premiato con la famosa statuina per il miglior attore protagonista. Il terzo, pur candidato al premio più prestigioso nell’ambito della
cinematografia mondiale, l’Oscar, appunto, non riporta a casa nulla, ma poco importa per il nostro discorso. Come mai proprio Hollywood, conservatrice e benpensante, attinge a tematiche
“scottanti”, per definizione “non politicamente corrette”? L’America, quella profonda e puritana,
diventa portavoce significativa di interpretazioni e recitazioni “eversive” la cui direzione di senso è quella del modello occidentale tout court. Certo, Hollywood ha finito con assegnare il premio più importante, quello per il miglior film a “Crash” di Haggis che, in qualche modo, finiva con il
mettere “tutti d’accordo”. Ma rimane che questa volta le candidature agli Oscar, i film che sono stati proiettati ponevano l’urgenza di “temi”, tra questi quello dell’omosessualità, con cui gli USA, l’Europa non possono non fare i conti.

“Brokeback Mountain” del regista Ang Lee, è l’assolutezza dell’ Amore, del desiderio che continua a cercarsi nell’indeterminatezza degli orizzonti. I due cow boy che si amano, si inseguono in una America di “praterie” e montagne rocciose, di tempeste ormonali e desolazioni umane assurgono all’Assoluto del loro sentire anche nella Morte. Il loro congiungersi, separasi fa parte della vita degli uomini, di tutti gli uomini; qui viene interpretato in modo struggente complice anche lo sconfinato Wyoming. Che l’America abbia scelto due cow boy per dirci questo è straordinario e va contro l’immagine del “maschio” John Wayne, del cow boy della tradizione, della Frontiera (non per nulla alcuni cinema texani si sono rifiutati di programmarlo).
Ma anche “Transamerica” di D. Tucker diventa significativo di nuove realtà culturali: un trans che prima dell’operazione scopre di avere un figlio di diciassette anni. E’ un film “on the road”, “Transamerica”, una storia anche questa “estrema” che traccia la psicologia e le “verità” di un
transessuale “normale”, con il suo quotidiano, lontano dalle piume e dai lustrini “esagerati” dei
suoi coetanei.
E che dire di “ Capote” diretto da B. Miller? Si, proprio Truman Capote lo scrittore-giornalista
del liberal “New Yorker” che scrive “A sangue freddo”, un romanzo-reportage, grazie all’aiuto
di uno dei due protagonisti, Kerry, condannato a morte per aver assassinato quattro membri
di una famiglia del Kansas. Di questi Capote diventa inconsapevolmente il carnefice e la vittima di cui sadicamente “innamorarsi”. Ma è un amore che si chiude con il sangue, appunto, con la morte voluta da Capote stesso del suo protagonista in modo che l’opera di Truman, del suo romanzo-reportage, alla fine, trionfi. Lo scrittore ha bisogno della sua vittima, vuole che questi gli racconti dell’omicidio compiuto nel Kansas; vuole, in ultima analisi, la realtà profonda dell’uccidere, della psicologia di chi ha ucciso dietro alla quale perdersi per essere sacrificato a sua volta (lo scrittore dice chiaramente nel film che non fa nulla per salvare il condannato). “A sangue freddo” diventa, così, il romanzo di successo di Truman Capote, il suo capolavoro dopo del quale non si è più capaci di scrivere.

Nell’era del globale l’America lancia la sua ennesima sfida, reinventa i ruoli andando al di là dei poteri precostituiti. I gay fanno parte della storia. Ma oggi lo dicono con la rivendicazione dei loro diritti, con una consapevolezza liberante che, spesso, veniva vietata loro nel passato. Il Potere anche quello di Hollywood, viene messo di fronte ad una omosessualità finalmente esplicita, vissuta concretatamene nella società, nella cultura occidentale.

L’immaginario collettivo di cui un’artista, un regista sono decodificatori straordinari, “illumina”, le vecchie categorie che si frantumano : temporali, spaziali, di genere; è l’avvento della
surmodernità come la chiama l’antropologo francese Marc Augè di cui anche l’omosessualità maschile fa parte.
L’opera d’arte, il cinema nel nostro caso, ancora una volta ci dice che il modello dell’Occidente ha
nuovi contenuti e li porge inserendoli nella totalità del tessuto culturale globale aprendo nuove domande e prospettive

"Brokeback Mountain" di Ang Lee

Commenti

M. A. ha detto…
Mi domando: è effettivamente possibile che la singola, straordinaria "illuminazione" di un "decodificatore dell'immaginario collettivo", artista o regista che sia, riesca a spostare un'intera cultura, complessa, organizzata su più modelli e sistemi?; ha veramente senso parlare di "America" che innova?; quanto sono "nuove" le "vecchie" idee?
Buon Lavoro ... e un consiglio: eliminerei il cappello introduttivo all'articolo!

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